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mercredi, juillet 05, 2006

Decapitation: Moggiopoli

dal Corriere della Sera
Non è un processo ma una decapitazione
Così come si è svolto finora, e minaccia di svolgersi da qui alla sentenza, non è, non sarà, un processo

Il momento. Alla vigilia di una partita decisiva per la nostra nazionale, sette-otto undicesimi della quale giocano per le società di cui si chiede la penalizzazione. Sarebbe stato impossibile, per l’Accusa, rimandare l’arringa finale al termine del campionato del mondo? Difficile crederlo. L’accelerazione non giova alla Giustizia. Soddisfa solo il giustizialismo di una parte della tifoseria (quella delle squadre che non hanno mai vinto o vinto poco) e la vanità e il protagonismo dell’Accusa. Comunque la si metta, ora, le pene richieste assomigliano più a un’affrettata concessione alla Piazza che a un giudizio ponderato al termine di un Processo condotto nel rispetto delle regole.

Le procedure. Sarebbe difficile, innanzitutto, definirlo Processo. Le richieste dell’Accusa sono state formulate senza sentire alcun teste, all’inizio e non alla fine del dibattimento (ammesso che così lo si possa ancora chiamare). È stata respinta l’ammissione di testimoni. Tutti gli imputati (30 fra persone e società) dovranno esporre le loro ragioni nel corso di una sola giornata. Pare che, in campo, ci andassero tutti, tranne i giocatori. Ora, i casi sono due. Oi giocatori non sapevano, giocavano le partite mettendo (magari) a repentaglio le loro gambe e, allora, la palla era (restava), malgrado tutto, rotonda e i successi sono stati, tutto sommato, conquistati sul campo.Oi giocatori sapevano, ci stavano (ma, allora, non si capisce perché si dessero tanto da fare in campo), la palla era a volte rotonda a volte quadrata e sulla correttezza dei successi qualche dubbio sarebbe lecito.

C’erano due modi per saperlo. Convocare i giocatori (compresi quelli delle squadre che hanno perso), chiederglielo e, se del caso, incriminarli. Farsi spiegare dagli imputati, in sede di dibattimento, nei dettagli, caso per caso, come siano riusciti a mettere su e a far funzionare una macchina tanto infernale quanto apparentemente perfetta. Le condanne chieste. Se i giocatori non sapevano, le penalizzazioni richieste configurano un mostro giuridico. Paga, con la revoca degli scudetti, anche chi (gli ignari giocatori) non sapeva neppure quello che stava succedendo. Come la chiamiamo? Responsabilità «oggettiva », come l’avrebbe chiamata il Pubblico ministero dei processi staliniani? Bene.

Allora l’Accusa deve anche dimostrare, nei fatti, che la palla era (diventava) quadrata anche quando i giocatori giocavano regolarmente la loro partita come se la palla fosse rotonda. A questo punto, diventa però difficile dimostrare che si sia potuto manipolare e falsare, «dall’esterno», non una, due, tre partite, ma un intero campionato terminato con un distacco di 17 punti fra la prima e la terza e non pochi anche fra quest’ultima e la seconda. Se non ci si riesce, vale, perciò, quella che nei processi non sportivi è la presunzione di innocenza, il postulato che ha vinto il più forte.

Insomma: o i l gioco del calcio era, e rimane, un gioco, uno sport, esposto all’imponderabilità della rotondità della palla, dove vince il migliore. O il gioco del calcio non era, e non lo era più da tanto tempo, un gioco, uno sport, ma uno spettacolo (come il wrestling) e, allora, è del tutto senza senso richiamarsi alla lealtà sportiva ed emettere, su quella base, una qualsiasi sentenza, tantomeno una sentenza di colpevolezza. Con tutto ciò, non voglio dire che dietro tutto quel fumo non ci fosse anche un bell’arrosto e che quelli che lo hanno confezionato non debbano pagare.

Voglio solo dire che sarebbe stato meglio evitare di cercare di farlo digerire a noi, spettatori e tifosi, tutto intero, invece che boccone per boccone; uscendo di metafora, individuando responsabile per responsabile, secondo procedure meno approssimative e francamente inaccettabili e una precisa e comprensibile scala di gravità. Cui le richieste dell’Accusa sembrano essersi attenute solo per quanto riguarda il «tentativo» di illecito sportivo; assai meno per le sue conseguenze «concrete» (empiricamente provabili) sull’esito dei campionati; in misura del tutto spropositata per quanto riguarda l’entità delle penalizzazioni a carico delle singole società.

Ribadisco. Così come si è svolto finora, e minaccia di svolgersi da qui alla sentenza, non è, non sarà, un processo. Ma una decapitazione. Da parte di una Giustizia tifosa. Di sé stessa.

Piero Ostellino

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